Fine gennaio. Cielo grigio, aria fredda e umidità. La raccolta delle olive, ormai in corso dagli ultimi giorni di ottobre, volgeva al termine eppure vedeva impegnata tutta la famiglia e gli operai.

Pantaleo aiutava i grandi raccogliendo le olive dal terreno e porgendo secchi e utensili, come “la ciambe”, un piccolo rastrello che si utilizza al posto delle mani per raccogliere le olive dai rami delle branche secondarie dell’olivo.

Capitava spesso che un flebile raggio di sole uscisse per scaldare i lavoratori che, visibilmente accaldati, non avevano bisogno di quel tepore. Ma quel giorno del sole non vi era neppure l’ombra.

Pantaleo un bel po’ infreddolito, nonostante i vari strati di maglioni e i guanti di lana, appariva goffo e insofferente. Saltellava da un albero all’altro senza concludere molto, in verità non stava facendo nulla e la sua poteva sembrare un’ancestrale danza del sole.

«Pantaleo insomma, la smetti di trotterellare senza concludere niente?» - esclama il nonno dall’alto della sua sedia impagliata.
«Sai fare tu, nonno! Stai lì seduto accanto al fuoco a dare ordini e a sgranocchiare i ceci croccanti della nonna».

Digressione gastronomica

I ceci croccanti erano una delle semplici leccornie preparate da nonna che andavano letteralmente a ruba. Pochi passaggi per uno “spezza appetito” salutare che ancora oggi mi diverto a preparare.

È sufficiente lessare i ceci, farli raffreddare e asciugarli bene con un panno pulito o con carta assorbente.

Dopo averli versati in una ciotola si condiscono con abbondante olio extra vergine di oliva, sale e pepe. La nonna aggiungeva sempre il rosmarino tritato, io oggi li condisco anche con altre spezie (curcuma, paprika, ecc.). Quindi si spostano in una teglia da forno disponendoli su un unico strato.

Si infornano a 200°C per circa mezz’ora e ogni tanto si scuotono per farli dorare tutti uniformemente.

La nonna non rivestiva la teglia con carta da forno, aggiungeva altro olio extra vergine di oliva che “fa sempre bene”, e io continuo a seguire i suoi consigli.

Si conclude la cottura con 5 minuti di grill e i ceci croccanti sono pronti.

Fine della digressione gastronomica

«Ricorda, quello che sei io ero e quello che sono tu sarai. Per diventare come me devi farne di strada e devi raccoglierne di olive dal terreno» - replica il nonno divertito. In verità ogni tanto imprecava per via di un cece troppo croccante che avrebbe potuto fargli saltare qualche dente.

Pantaleo era visibilmente irritato. L’umore non era dei migliori e il nonno con le sue uscite di certo non era di aiuto. Per questo si allontanò per raggiungere la fine del terreno, laddove un muretto a secco segnava il confine con la porzione di terra appartenente a mest Pepp (maestro Peppe), amico di infanzia del nonno. Quel muretto non l’aveva mai superato, ma quel giorno l’avrebbe fatto per sfida e senza che nessuno se ne accorgesse.

Raggiunta la sommità del muretto, rimase per qualche istante seduto ad ammirare lo spettacolo che gli si presentò davanti agli occhi.

Quel terreno non era coltivato a uliveto, bensì a orto. Era perfettamente arato, la terra sembrava soffice come l’ovatta. Scura, morbida, profumata. La pioggia della notte e l’umidità del mattino facevano esalare i profumi dell’anima più profonda della terra. Accoglieva piante belle rigogliose di cime di rape alternate a filari di insalata.

Dopo qualche minuto, Pantaleo decise di compiere il grande salto. I suoi piedi sprofondarono nel terreno, e un passo dopo l’altro si inoltrò camminando al fianco delle cime di rape.

La poesia del momento fu interrotta dal rombo di un tre ruote e Pantaleo perse l’equilibrio cascando proprio sopra alle piante di cime di rapa che parvero “inghiottirlo”.

L’amico del nonno intanto aveva dato inizio alla raccolta delle cime di rape ormai sviluppate e pronte per essere cucinate e mangiate. In una di queste era nascosto Pantaleo, convinto di non essere visto. Mest Pepp resse il suo gioco e finse di non essersi accorto della sua presenza. Quando si avvicinò alla pianta per recidere il fusto e le foglie, Pantaleo balzò fuori dalla pianta chiedendo scusa a mest Pepp che si finse spaventato.

«Mi dispiace, non l’ho fatto apposta, non volevo rovinare le piante. Non lo farò più! Per piacere non dite niente al nonno che quello mi rimprovera assai… chi lo deve sentire» - piagnucola Pantaleo.
«Lo conosco bene, non gli diciamo niente, anzi ora raccogliamo le cime di rape più belle e saporite e le portiamo anche a lui così poi te le fa mangiare».

Pantaleo e mest Pepp riempirono di cime di rapa due grandi cesti di vimini. Il loro profumo era davvero inebriante. Raggiunsero l’uliveto soddisfatti e Pantaleo, finalmente di buonumore, mostrò al nonno il ricco bottino.

«Bravo al nonno, Meh, una cosa buona l’hai fatta, mo ne vuoi fare un’altra?».
«Sì, nonno. Cosa devo fare?».
«Vai da nonna e fatti dare l’orcetto pieno di olio appena molito».

Pantaleo tornò di corsa con l’orcetto e con la nonna che già aveva capito cosa avesse in mente suo marito.

«Tieni u’ mest, questo è per te perché hai tenuto a bada Pantaleo che qui si muoveva manco fosse stato morso da una tarantola. Mo mi dai un po’ di cime di rape?».
«Certo Pantalè, non dovevi nemmeno chiederlo. Questo cesto è tutto per te e per la tua famiglia».
«Lucjè, hai visto? Grazie a Pantaleo oggi abbiamo che da mangiare a pranzo e a cena».

In quel momento Pantaleo si sentì un uomo. Era troppo contento di aver dato una mano a mest Pepp e di aver portato a casa l’ingrediente principale di due piatti di assoluta bontà: cime di rape con la pasta a pranzo, cime di rape stufate con fette di pane abbrustolite per cena. Intanto la nonna lo guardò sorridendo e gli disse:

«Dai, andiamo. Mentre io le pulisco, tu impasti acqua e farina così facciamo ‘gli strascinati’».